La deroga alla disciplina delle perdite di capitale – Approfondimento legge di bilancio 2021
- On 30 Marzo 2021
A decorrere dal 9.4.2020 (data di entrata in vigore del DL 23/2020) e fino al 31.12.2020, quindi, per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro quest’ultima data, era stata concessa la facoltà di non applicare gli articoli:
- 2446 co. 2 e 3 e 2482-ter 4, 5 e 6 c.c., ovvero le previsioni dettate in materia di riduzione del capitale sociale di spa e di srl di importo superiore ad un terzo ma senza incidere sul minimo legale;
- 2447 e 2482-bisc., ovvero le previsioni dettate in materia di riduzione del capitale sociale di spa e di srl di importo superiore ad un terzo con incidenza sul minimo legale.
In tali casi, peraltro, il DL 23/2020 convertito aveva lasciato intatto il solo obbligo di convocare l’assemblea con funzione informativa e nell’ottica della adozione degli “opportuni provvedimenti”.
La ricordata previsione normativa di cui all’art. 6 del DL 23/2020 convertito è stata oggetto di differenti ricostruzioni correlate alla lettura dell’inciso “fattispecie verificatesi”.
Su un punto, peraltro, gli interpreti sono sembrati concordi: in caso di perdite di capitale incidenti sul minimo legale, gli amministratori delle società interessate, a partire dall’1.1.2021, avrebbero dovuto applicare gli artt. 2447 e 2482-ter c.c. e, quindi, orientare la società verso le seguenti alternative:
- ricapitalizzazione;
- scioglimento;
- trasformazione in società rispetto alle quali il capitale presente risultasse sufficiente.
L’esigenza di evitare questi esiti ha, probabilmente, rappresentato il motivo di fondo dell’intervento riformatore, che, comunque, si è spinto decisamente oltre.
Sostituzione della disciplina
Il co. 266 dell’art. 1 della L. 30.12.2020 n. 178[1] (legge di bilancio 2021), infatti, ha sostituito, a decorrere dall’1.1.2021, l’art. 6 del DL 23/2020 convertito, prevedendo che, per le perdite emerse nell’esercizio in corso alla data del 31.12.2020 – ovvero nei bilanci che chiudono a quella data così come in quelli a cavallo (“in primis” 1.7.2020 – 30.6.2021) – non si applicano gli artt. 2446 co. 2 e 3[2], 2447, 2482-bis co. 4, 5 e 6 e 2482-ter c.c. e non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli artt. 2484 co. 1 n. 4 e 2545-duodecies c.c. (co. 1).
Il termine entro il quale la perdita deve risultare diminuita a meno di un terzo, ex artt. 2446 co. 2 e 2482-bis co. 4 c.c., è posticipato al quinto esercizio successivo; l’assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate (co. 2).
Nelle ipotesi previste dagli artt. 2447 o 2482-ter c.c. l’assemblea convocata senza indugio dagli amministratori, in alternativa all’immediata riduzione del capitale e al contemporaneo aumento del medesimo a una cifra non inferiore al minimo legale, può deliberare di rinviare tali decisioni alla chiusura del quinto esercizio successivo. L’assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve procedere alle deliberazioni di cui agli artt. 2447 o 2482-ter c.c.[3]. In relazione a tale fattispecie si ribadisce che, fino alla data di tale assemblea, non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli artt. 2484 co. 1 n. 4 e 2545-duodecies c.c. (co. 3).
Le perdite in questione devono essere distintamente indicate nella Nota integrativa con specificazione, in appositi prospetti, della loro origine nonché delle movimentazioni intervenute nell’esercizio (co. 4).
Quindi, per le perdite emerse negli esercizi “in corso alla data del 31 dicembre 2020” gli interventi prescritti dalle ricordate disposizioni codicistiche potranno avvenire “entro” l’assemblea di approvazione del bilancio 2025, previa distinta indicazione in Nota integrativa al fine di tenerle separate da eventuali perdite future non “coperte” dalla nuova disciplina.
Tali informazioni – sottolinea la circ. Assonime 25.2.2021 n. 3, § 6 – devono essere fornite nella situazione patrimoniale sottoposta all’assemblea convocata in presenza di perdite significative – che si tratti del bilancio d’esercizio o di una situazione patrimoniale infrannuale – e dovranno esistere anche nei bilanci relativi agli esercizi che si succedono durante il quinquennio di moratoria, nei quali presenteranno rilevanza ancor maggiore, dovendo evidenziare anche l’evoluzione della situazione.
Permanenza degli obblighi informativi
Resta fermo, peraltro, l’obbligo di convocazione, senza indugio, dell’assemblea, sia nei casi contemplati dagli artt. 2446 e 2482-bis c.c., per dar conto ai soci della perdita di oltre un terzo del capitale (sottoponendo loro una Relazione sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del Collegio sindacale o del comitato per il controllo sulla gestione), che nei casi previsti dagli artt. 2447 e 2482-ter c.c., per il rinvio della decisione di ricapitalizzazione immediata della società o, in alternativa, della sua trasformazione o scioglimento (anche in tal caso, sottoponendo ai soci una Relazione sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del Collegio sindacale o del comitato per il controllo sulla gestione)[4].
FACOLTATIVITA’ DELLA STERILIZZAZIONE
Lo spostamento del termine per il ripiano delle perdite in questione alla data dell’assemblea che approva il bilancio dell’esercizio 2025 non sembra precludere la possibilità, per le società interessate, di procedere in anticipo, rispetto alla suddetta data, ad assumere le determinazioni previste dalla legge. Pertanto, le società potrebbero anche decidere di adottare le determinazioni previste dagli artt. 2447 e 2482-ter c.c., oppure optare per la rilevazione dell’intervenuta causa di scioglimento ex art. 2484 co. 1 n. 4 c.c.
Ciò, osserva la lettera circolare 29.1.2021 n. 26890 del Ministero dello Sviluppo economico, eventualmente, anche dopo aver deciso (con delibera assembleare) di avvalersi della possibilità di rinviare tali decisioni all’assemblea che approva il bilancio dell’esercizio 2025. In tal caso, inoltre, sebbene l’art. 2485 c.c. rimetta l’accertamento della causa di scioglimento in questione alla competenza degli amministratori della società, si ritiene possibile desumere dalla nuova formulazione dell’art. 6 del DL 23/2020 convertito, che affida all’assemblea la decisione di rinvio, la necessità di un previo consenso (implicito od esplicito) dell’assemblea stessa, da richiamarsi nell’atto di accertamento medesimo
PERDITE 2021 E SUCCESSIVE
Secondo la prevalente dottrina, la nuova disciplina non dovrebbe riguardare le perdite che matureranno nel 2021 (ed esercizi successivi), con la conseguenza che, in assenza di un altro intervento del legislatore, le perdite che matureranno nel 2021 e che portino il capitale sotto il minimo, dovrebbero essere ripianate “senza indugio”, mentre quelle che non intacchino il capitale sociale avrebbero il 2022 come anno di grazia, con obbligo di ripianamento nel 2023.
Ciò emergerebbe anche dall’ultimo comma del nuovo art. 6 del DL 23/2020 convertito, che intende tenere distinte le perdite che godono della temporanea sospensione quinquennale dalle altre perdite, eventualmente accertate nel corso del quinquennio di sospensione, che non rientrano nello stesso regime. In altri termini, mentre le perdite emerse nei bilanci degli esercizi in corso al 31.12.2020 non determinano l’obbligo di ridurre il capitale, ex artt. 2446 e 2482-bis c.c., o di ricapitalizzazione o liquidazione, ex artt. 2447 e 2482-ter c.c., eventuali perdite conseguite in successivi esercizi, se rilevanti autonomamente, dovrebbero seguire le regole ordinarie[5].
Secondo la circolare Assonime 25.2.2021 n. 3, § 4, invece, sebbene la lettera della norma deponga nel senso sopra evidenziato, sarebbe preferibile una interpretazione che ritenga l’eventuale incremento delle perdite negli esercizi successivi al 2020 assorbito dalla disciplina di posticipazione delle misure di riduzione e ricapitalizzazione dettata dall’art. 6, determinando l’attivazione dei rimedi a tutela del capitale soltanto alla chiusura del quinto esercizio successivo all’esercizio.
A favore di tale soluzione deporrebbe il fatto che la nuova previsione intende attribuire alle società un idoneo percorso temporale per uscire dallo stato di difficoltà, non affidando la tutela del ceto creditorio e il potenziale recupero di redditività della gestione ad una meccanica applicazione della disciplina del codice, ma ad una attività gestionale sì ordinaria, ovvero non meramente conservativa, ma responsabilizzata anche alla luce dei nuovi obblighi sanciti dal riformato art. 2086 c.c.; evitando, quindi, di aggravare la situazione e valutando l’adozione degli strumenti emergenziali o, se necessario, il ricorso agli strumenti previsti, attualmente, dal RD 267/42.
CORRELAZIONE TRA LE DUE DISCIPLINE
Occorre, inoltre, provare a individuare quali possano essere i punti di contatto tra le due discipline esaminate, quanto meno avendo riguardo a quella che risultava essere l’opinione maggioritaria in ordine al previgente art. 6 del DL 23/2020 convertito, secondo la quale le perdite maturate nel 2019, accertate dal 9.4.2020, avrebbero potuto essere “sterilizzate”, al pari delle perdite maturate nel 2020, se accertate in bilanci approvati a decorrere dal 9.4.2020.
Secondo la lettera circolare 29.1.2021 n. 26890 del Ministero dello Sviluppo economico, la nuova disciplina offrirebbe un’indicazione più precisa degli intenti del legislatore. In particolare, con il riferimento alle “perdite emerse nell’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020”, anziché alle “fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data”, sembra chiarirsi che oggetto della norma sono solo le perdite “emerse” nell’esercizio 2020 (o negli esercizi “non solari” ricomprendenti la data del 31.12.2020).
Si esclude, quindi, che la nuova disciplina possa riguardare perdite relative a esercizi antecedenti, restando le stesse assoggettate, di conseguenza, al regime generale, anche in tema di scioglimento ex art. 2484 co. 1 n. 4 c.c.
Secondo la massima Consiglio Notarile di Milano 196/2021, sostitutiva della massima 191/2020, invece, per “perdite emerse nell’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020”, ai sensi dell’art. 6 co. 1 del DL 23/2020 convertito, come sostituito dall’art. 1 co. 266 della L. 178/2020, si devono intendere tutte le perdite risultanti dal bilancio di esercizio o da una situazione patrimoniale infra-annuale riferiti a esercizi o frazioni di esercizi in corso alla data del 31.12.2020, a prescindere da quale sia l’esercizio in cui le perdite si siano prodotte.
Anche la circ. Assonime 25.2.2021 n. 3 non condivide l’interpretazione letterale e restrittiva fatta propria dal Ministero dello Sviluppo economico, proponendo una lettura dell’ambito di applicazione della nuova disciplina comprensivo, però, delle sole perdite emerse nei bilanci d’esercizio chiusi al 31.12.2019 o nel corso dell’anno 2020 ma prima del 31 dicembre.
L’interpretazione letterale, infatti, è ritenuta soluzione non coerente con le finalità del complesso dei provvedimenti emergenziali fino ad oggi adottati per contenere gli effetti della pandemia sulle imprese. Peraltro, dal momento che l’intento del legislatore è stato quello di chiarire l’ambito di applicazione della disciplina, appare dubbio che questo risultato possa considerarsi raggiunto adottando un’interpretazione (letterale) che restringa l’ambito stesso rispetto a quello previgente[6].
SOSPENSIONE DELLE CAUSE DI SCIOGLIMENTO
Essendosi deciso di sospendere gli obblighi correlati alla perdita del capitale sociale, infatti, la non operatività della causa di scioglimento per la riduzione del capitale al disotto del minimo legale non può che seguirne di conseguenza, non essendo ipotizzabile uno scioglimento della società per la mancata adozione delle deliberazioni previste dall’art. 2447 c.c., in presenza di una norma di legge che disattiva l’obbligo di adottare queste ultime delibere.
Analogamente a quanto già previsto negli artt. 182-sexies del RD 267/42 e 26 co. 1 del DL 179/2012 conv. L. 221/2012, quindi, è escluso lo scioglimento di società di capitali e cooperative per la riduzione del capitale sotto il minimo legale.
POSSIBILI CONSEGUENZE SULLE RESPONSABILITA’
La disapplicazione della causa di scioglimento sembra escludere anche i doveri specifici degli amministratori correlati a tale evenienza, ovvero la necessità di adottare una gestione conservativa (ex art. 2486 c.c.[7]) e le conseguenti responsabilità da prosecuzione dell’attività d’impresa in regime “non conservativo”.
Circostanza non espressamente specificata, ma che appare emergere dalla Relazione illustrativa dell’originario art. 6 del DL 23/2020 convertito, in cui si afferma che “la previsione intende evitare che la perdita del capitale dovuta all’emergenza epidemiologica da COVID-19, e verificatasi nel corso degli esercizi chiusi al 31 dicembre 2020, ponga gli amministratori di un numero elevatissimo di imprese nell’alternativa – palesemente abnorme – tra l’immediata messa in liquidazione, con perdita della prospettiva della continuità per imprese anche performanti, ed il rischio di esporsi alla responsabilità per gestione non conservativa ai sensi dell’articolo 2486 codice civile. La sospensione degli obblighi previsti dal codice civile in tema di perdita del capitale sociale, per contro, tiene conto della necessità di fronteggiare le difficoltà dell’emergenza COVID-19 con una chiara rappresentazione della realtà, non deformata da una situazione contingente ed eccezionale”.
In ogni caso, pur ravvisandosi nella nuova disciplina i tratti per escludere la necessità di adottare una gestione conservativa, si osserva come il dovere di diligenza non possa che tenere conto della situazione effettiva, considerando ciò che accadrà al momento della reviviscenza del regime normale. Pur non suggerendosi una gestione meramente conservativa, quindi, appare indubbio che i rischi possano aumentare e che azioni successive potrebbero mettere in discussione la diligenza di quegli amministratori che abbiano aggravato o non risolto il dissesto.
Pertanto, sottolinea Assonime sia nella circ. 28.7.2020 n. 16, § 2.4, che nella circ. 25.2.2021 n. 3,
§ 7, gli amministratori possono compiere tutti gli atti che costituiscono una fisiologica attuazione dell’oggetto sociale, valutando anche nuove operazioni funzionali a reintegrare il valore del Patrimonio netto. Ma occorre, comunque, ponderare attentamente se da tali atti possano discendere conseguenze pregiudizievoli per i creditori, evitando condotte che rischino di aggravare ulteriormente la situazione economico-patrimoniale dell’impresa, e valutando, se necessario, il ricorso agli strumenti previsti dal RD 267/42[8].
Anche altra dottrina osserva come, dal momento che la perdita è già intervenuta e non eliminata, ma solo “congelata” nei suoi effetti, concretandosi comunque uno stato di crisi, l’operato degli amministratori, pur non rinunciando a finalità speculative (come imporrebbe l’art. 2486 c.c.), dovrà essere orientato a salvaguardare non solo l’interesse primario dei soci alla conservazione dei valori attivi del patrimonio sociale, ma anche l’aspettativa dei creditori sociali a vedere integralmente soddisfatte le loro pretese. Occorre, quindi, seguire con particolare cura la regola di condotta tracciata dagli artt. 2394 e 2403 c.c., che sussiste già a prescindere dallo stato (di crisi o meno) in cui versi la società, comportando l’obbligo di tenere conto (anche) della posizione dei creditori in misura proporzionalmente crescente all’aggravarsi della condizione sociale, stante la maggiore facilità che, in tal caso, il patrimonio divenga incapiente.
PREVISIONI NORMATIVE DA CONSIDERARE
A fronte della previsione temporanea che deroga l’intervento a copertura delle perdite, restano ferme le altre previsioni normative in qualche modo correlate al fatto che esse, comunque, sono intervenute. Ci si riferisce:
- al divieto di distribuire dividendi (artt. 2433 co. 3 e 2478-bis 5 c.c.);
- al limite all’acquisto di azioni proprie (art. 2357 co. 3 c.c.);
- alla possibile incidenza sul limite massimo all’emissione di obbligazioni nelle spa (art. 2412 co. 1 c.c.)[9].
Allo stesso modo restano applicabili gli obblighi di ridurre il capitale sociale correlato a norme differenti (si pensi, ad esempio, all’art. 2437-quater co. 4 c.c., nel caso di recesso).
POSSIBILI CONSEGUENZE DELLA FACOLTATIVITA’ DELLA RIDUZIONE DEL CAPITALE SOCIALE
Come evidenziato, la disciplina in esame consente, ma non impone, alle società la disapplicazione delle previsioni dettate in materia di perdita del capitale sociale.
In presenza dei presupposti, di conseguenza, si potrebbe comunque decidere di provvedervi.
Si è osservato, inoltre, come, ove il socio di maggioranza, in contrasto con l’intenzione esplicitata da quello di minoranza, decidesse di avvalersi della deroga di cui all’art. 6 del DL 23/2020 convertito, non potrebbe certo ravvisarsi un abuso, trattandosi comunque di una prerogativa riconosciuta dalla legge.
Allo stesso modo dovrebbe ragionarsi nel caso in cui il socio di maggioranza dovesse optare per lo scioglimento della società.
Più problematica, invece, si presenta l’ipotesi in cui il socio di maggioranza dovesse decidere di ricapitalizzare a fronte della richiesta di quello di minoranza di utilizzare la sospensione riconosciuta dalla nuova disciplina.
Il rischio è che i soci di minoranza che si sono astenuti o che hanno votato contro l’aumento impugnino la delibera con maggiori possibilità di successo rispetto al passato, proprio in ragione della disciplina in esame. L’impugnativa potrebbe essere motivata dalla minoranza evidenziando che l’aumento, non più richiesto dalla legge in tempi immediati, potrebbe essere effettuato dalla maggioranza al solo scopo di diluire la quota di minoranza impossibilitata a ricapitalizzare, marginalizzando sempre più, immotivatamente, la partecipazione della stessa alla società. In queste condizioni, e probabilmente ancor più che in passato, l’aumento di capitale per copertura perdite deve essere suffragato da idonee motivazioni aziendalistiche, organizzative o finanziarie. Tali motivazioni, evidenziate dal management in consiglio di amministrazione e riportate in delibera assembleare risultano fondamentali per scongiurare (o almeno mitigare) i rischi di impugnativa.
[1] Pubblicata sul S.O. n. 46 alla G.U. 30.12.2020 n. 322.
[2] Anche nella nuova versione dell’art. 6, quindi, si prevede la sospensione del co. 3 dell’art. 2446 c.c. per il quale, nelle società con azioni senza valore nominale, se lo statuto lo prevede o con delibera dell’assemblea straordinaria, le deliberazioni sulla riduzione del capitale possono essere assunte dal Consiglio di amministrazione. Questa sospensione – afferma Assonime nella circ. 25.2.2021 n. 3, § 3 – è volta a sottrarre le decisioni dei soci sulla riduzione nominale del capitale all’eventuale competenza degli amministratori rimettendola comunque alla competenza dell’assemblea.
[3] Peraltro, osserva la circ. Assonime 25.2.2021 n. 3, § 5, essendo attribuito ai soci un periodo di moratoria di cinque esercizi, è da ritenere necessario che i soci realizzino in modo immediato ed effettivo quel rafforzamento patrimoniale idoneo a ripristinare il capitale sociale. Vale a dire che, seppure non si volesse ritenere che la sottoscrizione dell’aumento, almeno fino al minimo legale, dovrà essere contestuale all’assunzione della delibera, sarà comunque impossibile concedere ai soci un termine per l’esercizio del diritto di opzione superiore a quello minimo di legge.
[4] Cfr. massima Consiglio Notarile di Milano 196/2021, sostitutiva della massima 191/2020.
[5] Peraltro, si pone il problema di come calcolare il “terzo”: al lordo o al netto della perdita del 2020 “sterilizzata”? Si tende, comunque, a ritenere che la determinazione dell’ammontare della perdita da ripianare non dovrebbe contemplare quella accumulata nell’esercizio 2020.
[6] Così la circ. Assonime 25.2.2021 n. 3, § 2, che sottolinea, altresì, come, in ogni caso, non sia necessario che si tratti di perdite che si presentino come effetto diretto della crisi da COVID-19; sia perché la norma non lo richiede, sia perché in una situazione di crisi sistemica i fenomeni che possono determinare una situazione di perdita sono tra loro correlati e non possono essere isolati rispetto alla crisi stessa.
[7] Ai sensi dei primi due commi dell’art. 2486 c.c., “al verificarsi di una causa di scioglimento e fino al momento della consegna di cui all’articolo 2487-bis, gli amministratori conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.
Gli amministratori sono personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi, per atti od omissioni compiuti in violazione del precedente comma”.
[8] In particolare, nella circ. 25.2.2021 n. 3, § 7, Assonime afferma: “Durante il quinquennio di moratoria, gli amministratori, al fine di rispettare criteri di corretta gestione, dovranno tener conto del quadro giuridico complessivo che comprende non solo gli obblighi di natura societaria eventualmente sospesi, ma anche la disciplina sulla crisi d’impresa. Essi sono tenuti a fronteggiare gli effetti delle perdite significative sulla base di tre passaggi tra loro concatenati: i) la diagnosi della situazione aziendale; ii) la pianificazione degli interventi e delle operazioni necessarie a ripristinare le condizioni di equilibrio economico e finanziario; iii) l’attuazione dei rimedi pianificati… Se [poi], alla luce della diagnosi della situazione dell’impresa, dovesse emergere che i flussi di cassa prospettici non consentano il recupero della continuità aziendale e il superamento della straordinaria situazione di crisi, occorrerà considerare l’opportunità di ricorrere agli strumenti della legge fallimentare”.
[9] Cfr. Assonime circ. 25.2.2021 n. 3, § 5 e 28.7.2020 n. 16, § 2.4.
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